La Lunigiana, storica terra di confine, conserva anche nella sua gastronomia contaminazioni secolari fra territori, genti e periodi diversi. Tante gustose tappe possono costituire un vero e proprio viaggio alla ricerca delle ricette tradizionali cucinate ancora come un tempo.
Nella stessa giornata è possibile passare dalla torta d’erbi al panigaccio, dallo sgabèo alle focaccette, per non parlare di dolci e molte altre prelibatezze.
Inoltre, in molte preparazioni ricorre uno dei simboli della cucina lunigianese: il “testo”, una teglia/forno circolare in ghisa che viene posta sul fuoco e che si compone di due parti. La parte inferiore, chiamata “sottano”, dove vengono posti gli alimenti, e la parte superiore, chiamata “soprano”, che fa da coperchio e mantiene il calore.
Per un viaggio fra i sapori della Lunigiana, non si può che iniziare dai 3 presidi Slow Food, prodotti rari ed eccellenti che meritano di essere tramandati e salvaguardati: il Testarolo artigianale di Pontremoli, la Marocca di Casola in Lunigiana e l’Agnello di Zeri.
Il Testarolo di Pontremoli è una speciale tipologia di pasta la cui particolarità è la sapiente cottura artigianale che viene effettuata tuttora nei “testi”: i due elementi di ghisa, sottano e soprano, vengono fatti arroventare sul fuoco a legna, poi all’interno viene colata una pastella di farina, acqua e sale che, in pochi secondi, grazie all’elevata temperatura, si trasforma in una pasta morbida e spugnosa di forma circolare.
La tradizione vuole che il testarolo venga poi cucinato come una pasta: viene quindi tagliato a rombi, sbollentato in acqua salata per qualche minuto e condito con olio e formaggio, sughi di carne o funghi. Ma nulla vieta di tostarlo leggermente e abbinarlo a salumi e formaggi per un gustoso piatto salato.
Questo antico pane di farina di castagne nasce a Casola in Lunigiana, situata nella vallata laterale alla confluenza tra il torrente Tassonaro e il torrente Aulella, al cospetto delle vette del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano. Nel passato, l’unica farina qui disponibile per la panificazione era quella di castagne (il castagno era infatti chiamato “albero del pane”). Per produrre la farina, la “civiltà del castagno” era impegnata tutto l’anno: dalla raccolta in autunno, all’essicazione a fuoco lento nei “gradili”, alla pulitura a cui tutti erano chiamati a partecipare. I frutti venivano portati poi nei mulini ad acqua per la macinazione.
Per creare il pane, la farina di castagne veniva impastata con le patate, che donano la tipica consistenza interna spugnosa. L’esterno invece è particolarmente duro e pare venisse definito con il termine dialettale “marocat”, cioè poco malleabile, da cui probabilmente deriva il nome di Marocca.
Ad oggi, un solo forno di Casola cuoce regolarmente la marocca, che conquista per la sua semplicità e bontà negli abbinamenti: dall’olio extravergine ai formaggi, al miele e senza tralasciare il Lardo di Colonnata.
Ci spostiamo a Zeri, il Comune più ad ovest della Toscana. Qui, tra ampie vallate abbracciate dall’Appennino ligure, si aprono i pascoli che ospitano una razza ovina autoctona, la Zerasca. L’isolamento geografico di questo territorio ha fatto sì che questa razza mantenesse le sue caratteristiche genetiche di pecora rustica di taglia medio-grande dal manto bianco. A Zeri gli agnelli vivono fra pascoli biologici in un contesto bucolico poco antropizzato, nutrendosi del latte particolarmente ricco di proteine della madre che rende la carne tenera e profumata.
Passaggio fondamentale della ricetta tradizionale è la cottura della carne sul fuoco nei “testi” in ghisa, accompagnata dalle patate di montagna.