Una Toscana insolita e diversa, compresa tra le colline lucchesi, l’Appennino che la separa dall’Emilia e le creste delle Apuane che la riparano dal mare, segnata da un fiume, il Serchio, tanto bello quanto capriccioso: “mi costi più del Serchio ai lucchesi”, recita un vecchio detto che prende motivo dai danni procurati nei secoli dalle tracimazioni del corso d’acqua: questa è la Garfagnana, terra di confine e di passo che ha assorbito culture e tradizioni dalle zone circostanti, finendo per connotare in maniera particolare anche i prodotti più tipici e la cucina, piena di sapori forti e delicati al tempo stesso, fatta con materie prime povere. Tutti i piatti della tradizione risentono quindi delle caratteristiche di un’economia contadina e montana, in cui un ruolo importantissimo giocavano le castagne; una volta essiccate e macinate, si trasformano in una farina, la cosiddetta farina di neccio con la quale si preparano pani, dolci tipici : ottimo quello che prevede di farcire con ricotta fresca una sorta di crepe di farina di castagne e una polenta originale per sapore e profumo.
Ma Garfagnana è soprattutto la terra del farro. Questo antichissimo cereale in via di estinzione fino a trent’anni fa ha trovato proprio qui una nuova vita; ed è l’ingrediente principale della minestra di farro, preparata con patate, fagioli e a volte qualche foglia di bietola; sempre presenti carota, cipolla e sedano, da soffriggere col lardo. La farina di farro, mescolata a quella di grano tenero, fa nascere un ottimo pane, tanto ricercato quanto quello di granturco otto file, così chiamato perché la varietà di mais usato ha una pannocchia dotata di otto colonne di semi. La polenta di otto file ha un gusto particolare; si può mangiare nella sua forma più semplice o abbinata con i funghi o incaciata, cioè con sugo di carne e abbondante formaggio. Se si aggiungono sedano, carote, porri, patate, fagioli, cavolo nero, passata di pomodoro e strutto e si fa friggere prende il nome dipitonca, che è servita tagliata a quadrati.
Con la farina dell’otto file si produce il pan di formenton. Ma il pane più antico della Garfagnana è quello di patate, chiamato anche garfagnino o panon. Particolari anche i formaggi: il Pecorino della Garfagnana e delle Colline Lucchesi, ottenuto da latte ovino e caglio di vitello, da consumare fresco o più stagionato; e l’Accasciato, di latte misto bovino e ovino, che deve il suo nome alla forma assunta dopo averlo tolto dalle fascere. Ottimi i salumi, come la mondiola e il biroldo, quest’ultimo fatto con testa, polmoni, cuore, lingua e pezzetti di lardo, tutti cotti e mescolati a sangue e spezie e poi insaccati e fatti bollire: può esser mangiato caldo oppure conservato e freddo.
Torniamo alle zuppe, con un piatto storico di tutta la Lucchesia, ma che pare tragga origine dalla Garfagnana: la garmugia, ricca di ingredienti, principalmente ortaggi e verdure. Il nome dovrebbe derivare da “germiglio”, germoglio in toscano antico, che rimanda all’idea della verdura fresca primaverile; c’è anche chi lo fa risalire al francese “gourmet”, vista l’influenza della lingua transalpina sul territorio. La ricetta prende spunto dalla abitudine dei contadini di utilizzare immediatamente i frutti della terra, come carciofi, piselli e asparagi. A questi si aggiunge la fava che, rispetto al resto della Toscana in cui si mangia cruda accompagnata magari da pecorino fresco, qui viene cucinata. La cottura nel camino era un classico: per avere sempre a disposizione, in ogni momento della giornata, una zuppa calda corroborante, a cui spesso si assegnavano anche compiti terapeutici, per un consumo casalingo o da proporre comunque agli ospiti. Nelle famiglie più facoltose, per dare sapore e consistenza alla preparazione, si prese nei secoli scorsi ad aggiungere carne e pancetta; ancora oggi qualcuno arricchisce la base vegetariana della ricetta, come c’è chi non utilizza per niente il pane o chi lo aggiunge tagliato a fette e tostato oppure a cubetti dopo averlo fritto.
E per finire un dolce tradizionale, la pasimata, fatto con ingredienti semplici (farina, zucchero, burro, uvetta, semi di anice, lievito di birra), il cui impasto richiede numerose lievitazioni. Un tempo, ogni famiglia della Garfagnana la preparava, la cuoceva nei forni a legna e poi la portava a benedire in chiesa il giorno di Pasqua.