“Io son di Prato, m’accontento di essere di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non essere venuto al mondo, tanto compiango coloro che, aprendo gli occhi alla luce, non si vedano intorno le pallide, spregiose, canzonatorie facce pratesi, dagli occhi piccoli e dalla bocca larga”. Così Curzio Malaparte, al secolo Kurt Erich Suckert (1898 –1957), scrittore giornalista e diplomatico, rivendicava le proprie origini pratesi nel suo celebre Maledetti Toscani, libro pubblicato da Vallecchi nel 1956.
Malaparte descriveva, esaltava e dileggiava i popoli e le città toscane, inzuppando il pennino nei suoi ricordi personali, nelle fonti letterarie e storiche e offrendo ai lettori un piacevolissimo affresco della toscanità nelle sue diverse declinazioni subregionali. Maledetti Toscani strizza l’occhio alle faziosità, ai pregiudizi e ai campanilismi ancora molto vivi nella Toscana degli anni Cinquanta, regalando note etnografiche tra il serio e il faceto, nello stile un po’ “sopra le righe” del grande autore.
Malaparte, nel capitolo dedicato a Prato descrive la città partendo dalla piazza Duomo, “la più ariosa e chiara, forse di tutta la Toscana”, in mezzo alla quale spicca la statua di Giuseppe Mazzoni, triumviro del governo provvisorio toscano nel 1849 insieme a Guerrazzi e Montanelli. Per le sue posizioni intransigenti, questo personaggio venne soprannominato il “Catone toscano” ed ebbe incarichi molto importanti all’interno della Massoneria: fu infatti Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1871 al 1880, anno della sua morte.
Al centro della Piazza del Duomo si trova “la macchia rosea della fontana di marmo, da bel colore di carne”: questo monumento, detto anche fontana del Pescatorello o più familiarmente del Papero - per i cigni appoggiati sui bordi delle vasche - fu disegnato dall’architetto campigiano Mariano Falcini e scolpita nel 1863 da Emanuele Caroni e Ulisse Cambi.
Alle spalle dell’elegante fontana appare “la fronte marmorea del Duomo, - come dice sempre Malaparte in Maledetti Toscani - a strisce bianche e verdi, il pèrgamo di Michelozzo e Donatello, appeso come un nido all’angolo della facciata, e il bel campanile che servì da modello al campanile di Giotto, ma più di quello è semplice, snello e schietto; di pietra tagliata, di buona e liscia pietra pratese”. Si tratta del complesso monumentale più importante della città laniera, di cui si ha notizie certe fin dal X secolo quando la chiesa di Santo Stefano fu elevata a pieve battesimale del Borgo al Cornio.
Il campanile citato da Malaparte venne costruito nel Duecento e raggiunse l’altezza attuale intorno alla metà del Trecento, pochi decenni prima che venisse costruita la facciata di gusto tardo gotico, leggermente staccata da quella precedente per permettere il passaggio al pulpito esterno, costruito da Michelozzo e decorato da Donatello, fra il 1428 e il 1438.
Il pergamo, il cui originale è conservato presso il Museo dell’opera del Duomo, è sicuramente uno dei capolavori del Rinascimento italiano; più di ogni descrizione tecnica, valgono le parole dello stesso Malaparte che descrisse magistralmente le suggestioni suscitate dal pergamo nel racconto Primo Sangue: “In quelle sere calde e profumate, le statue di Michellozzo, di Donatello, del Tacca si mettevano a parlare sommessamente fra loro, si muovevano lente ed assonnate, camminavano in punta di piedi, e i putti scolpiti nel pèrgamo che è sull’angolo del Duomo, scivolavano lungo lo spigolo della facciata, si ricorrevano sugli scalini, un sangue roseo e tiepido scorreva nello loro vene, sotto la bianca pelle di marmo. L’alba ricomponeva i loro gesti nell’immobilità di un’estetica attesa”.
Il pulpito permette di abbracciare tutta la piazza del Duomo ed è il punto sul quale si focalizza l’attenzione dei fedeli, durante il rito dell’Ostensione della Sacra Cintola della Madonna. Questa preziosa reliquia orgoglio della città di Prato, viene mostrata per Natale, Pasqua, il 1 maggio, il 15 agosto di ogni anno.