Chi l’avrebbe detto che uno dei più famosi dolci della tradizione toscana si chiami torta mantovana? Non si sa bene cosa ci sia all’origine di questo equivoco o di questa commistione migratoria. Le tesi più condivise si riferiscono entrambi a un passaggio: o a quello di Isabella d’Este che nel 1514, in viaggio tra Mantova e Roma, si fermò a Firenze presso la corte dei Medici e lasciò la ricetta della torta; o a quello di due suore di Mantova, che nel 1875 andando a Roma per il Giubileo furono ospitate a Prato da Antonio Mattei, allora uno degli interpreti migliori della pasticceria cittadina, e gli donarono la ricetta della torta.
Restiamo a Prato per ricordare – ma chi non li conosce? – gli ultrafamosi cantucci o cantuccini, sia nella versione classica che prevede le mandorle nell’impasto; sia in tutte le variazioni in cui si sbizzarriscono forni e pasticcerie: con le noci, il cioccolato fondente, i fichi secchi, i canditi, i pistacchi. E di queste parti, tanto di averne coniato la denominazione a dispetto della loro presenza in altre zone d’Italia, sono le pesche di Prato, due semisfere di pasta frolla inzuppate nell’alchermes e tenute insieme da una crema, bianca, allo zabaione o al cioccolato.
Spostiamoci a Firenze per incontrare la schiacciata fiorentina: in questo caso l’aggettivo è necessario per distinguerla dalla schiacciata o schiacciatina tout court, preparazione salata e “ammaccata”, una sorta di pane basso protagonista delle merende, degli spuntini e di tante farciture golose. Tornando alla fiorentina e quindi al dolce, è tipica del periodo carnevalesco, coperta da uno strato di zucchero velo sul quale è disegnato per sottrazione il giglio simbolo della città ed è apprezzata anche nella versione arricchita nel suo mezzo con panna montata.
Nomi simili per prodotti piuttosto diversi che in comune hanno l’altezza o meglio la bassezza: ecco la schiacciata con l’uva, propria della fine dell’estate, quando è matura l’uva da vino i cui chicchi adornano e rendono golosissimo l’impasto di farina e acqua; facoltativa l’aggiunta di altro zucchero sopra tutto.
Eccoci a Siena per due dolci simili, il panforte e il pan pepato. Quella del primo è una ricetta molto antica, le prime testimonianze risalgono all'anno Mille. Da allora sono nate moltissime varianti, le cui caratteristiche comuni sono le mandorle, i canditi e le spezie. In origine era prevista la frutta fresca che col caldo fermentava, facendo assumere al dolce un gusto acidulo, da qui il nome di panforte. Per evitare la fermentazione della frutta, furono cambiati in parte gli ingredienti, si iniziò a prepararlo solo in inverno e divenne un dolce tipico del Natale. Nel pan pepato si aggiungono il pepe dolce e il melone candito.
Alla chiusura delle festività a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno appartiene la tradizione dei befanini, biscotti d’origine viareggina, realizzati con un impasto aromatizzato al rum, sagomati con vari stampini e decorati in superficie con le codette colorate.
Verso l’interno e nel suo capoluogo, Lucca, troviamo il buccellato, un pane dolce con molta uvetta che riprende il nome dal buccellatum, il pane dei soldati Romani.
Tornando verso il mare, arriviamo a Pisa e alla sua torta coi bischeri, una crostata di pasta frolla con ripieno di cioccolato, riso e noce moscata.
In tutta la regione invece si fa il castagnaccio, dolce di certa provenienza appenninica, dove erano forti la cultura e l’economia della castagna, la cui farina è l’ingrediente principale dell’impasto, arricchito in superficie, prima di essere infornato, di uvetta, pinoli e rosmarino.
Chiudiamo questa sintetica rassegna, anche se per dovere di completezza rammentiamo appena la torta di semolino al cioccolato, la torta della nonna, la torta del nonno, la pinolata, la scarpaccia, con un dolce/gelato: lo zuccotto, così chiamato perché pare che Bernardo Buontalenti, architetto e scultore con la passione della cucina, lo realizzò per primo all’interno di un elmo, mettendo insieme pan di Spagna, ricotta, panna, cacao e facendo raffreddare il tutto prima di servirlo. Oggi è famoso anche per il suo colore, quando viene bagnato con alchermes.