“Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando….”: con questi versi Giosuè Carducci celebrava la convivialità dei primi freddi autunnali nella famosa poesia San Martino, dove c’è anche il vino (“ma per le vie del borgo dal ribollir de' tini va l'aspro odor de i vini l'anime a rallegrar”) e il cacciatore che ammira soddisfatto le sue prede che si stanno cuocendo. Una scena d’altri tempi, piena di calore, civiltà contadina, sapori un po’ antichi di cose buone. Sì, perché lo spiedo, quest’asta sottile sulla quale si infilzano le carni per la cottura alla fiamma o alla brace rimanda ad altri tempi e all’arma, in uso un centinaio di anni fa, prima dell’invenzione delle armi da fuoco, per la caccia alla selvaggina.
Dell’attrezzo pacifico e domestico ne esistono varie versioni: da quella basica, elementare, fatta di una sola asta che si gira a mano, con o senza apposita manovella, sul fuoco; a quelle multiple ed elettrificate o a raggi infrarossi o a gas che girano di continuo sulla fonte di calore, di cui sono esempio i girarrosto nelle rosticcerie e nei reparti gastronomia dei supermercati. Stili e modi di cucinare che hanno comunque in comune la carne, cacciata, allevata o comprata e il calore, una volta esclusivamente di brace, oggi anche di altro tipo. Anni e anni fa lo spiedo era appunto legato alla presenza in ogni casa – ricca o povera – del camino, fonte di calore e di energia che permetteva tipi di cotture quali l’arrosto sulla brace. Con la diminuzione o addirittura la scomparsa dei camini, la cottura allo spiedo era rimasta prerogativa di qualche ristorante che, soprattutto nei fine settimana, usava fregiarsi di questo metodo per rimandare a un certo concetto di semplicità di preparazione, legata ad un certo modo di intendere la cucina.
Perciò il ricorso a cotture senza brace e camini, quindi meno impegnative, la ricerca di piatti più complessi rispetto all’arrosto, un uso più discreto della carne, il tempo sempre più tiranno hanno spedito nel dimenticatoio il fiero spiedo, che come abbiamo detto rimandava alla caccia, al fuoco, addirittura al combattimento. Ha vinto - almeno in questo per fortuna– l’incruenza o almeno un modo meno battagliero di stare in cucina. Salvo poi riscoprire che questo metodo antichissimo di cottura, forse il primo adottato dall’uomo, senza il ricorso a recipienti e acqua, esalta le qualità della carne e proprio nella lentezza della cottura trova uno dei motivi della sua originalità.
Chi privilegia una preparazione essenziale e non frenetica ha decretato una nuova stagione di successo dello spiedo, che passa quindi attraverso la riscoperta e l’esaltazione delle tradizione l’attenzione alle diversità delle preparazioni (grandezza dei pezzi di carne, alternanza nello spiedo con pane, lardo, erbe, infine i tempi), la scelta degli ingredienti.
In Toscana era ed è ancora in grand’uso l’arrosto girato, l’insieme di varie carni, magari cotte con l’ausilio della macchinetta a carica manuale nei cui fori si infilano gli spiedi che così girano automaticamente e costantemente. Scamerita di maiale, pollo, coniglio, lombata di agnello, piccione, salsicce, fegatelli di maiale le carni usate; più fette di lardo, qualche frusta di pane e naturalmente olio extra vergine di oliva. Ogni pezzetto di carne va condito con il tritato di salvia, rosmarino, aglio, sale e pepe.
Nello spiedo i pezzi di carne vanno intervallati ognuno con una fetta di pane; pollo e piccione richiedono anche una foglia di salvia, mentre avvolgeremo ciascun pezzo del coniglio con una fettina di lardo; all’estremità dello spiedo va messa la carne che ha bisogno di minore cottura (salsicce e fegatelli). Almeno due ore sulla brace, avendo cura di bagnare ogni tanto le carni con un rametto di rosmarino intinto nell’olio. Più facile di così…..