L’aria è pungente sul viso, mentre mi affaccio dalla Piazza d’Armi del Castello del Piagnaro e guardo dall’alto la sera che fa accendere le luci nel centro di Pontremoli. È stata una lunga giornata, iniziata varcando a piedi la Porta della Toscana sul passo della Cisa, e proseguita scoprendo la storia della cittadina lunigiana.
Sono appena uscita dal Museo delle Statue Stele e mi sento ancora disorientata e rapita da queste misteriose raffigurazioni umane scolpite nell’arenaria più di 5000 anni fa. Hanno un fascino arcaico, mentre mi guardano mute ed impenetrabili lasciando irrisolto ogni interrogativo riguardo alla loro origine.
Scendendo dal Castello per tornare in centro, cammino attraverso il quartiere del Piagnaro, un intrico di vicoli i cui alti palazzi hanno i tetti formati da strati di “pagne”, lastre di arenaria da cui prende il nome l’antico borgo. Sarà il colore grigio scuro della pietra o il crepuscolo che allunga le ombre, ma da ogni angolo mi sembra di veder spuntare il Lupo Mannaro.
Avevo scoperto questa leggenda pontremolese spulciando il sito di Toscana Ovunque Bella, il progetto che racchiude le storie di ogni comune toscano. Il Lupo Mannaio si aggirava in questo quartiere che fino agli inizi del ‘900 non aveva illuminazione elettrica e perciò di notte era avvolto dalle tenebre suggestionando le impressioni degli abitanti che si trovavano ad osservare il passaggio di pellegrini stranieri dalle vesti e fattezze diverse dalle loro.
Forse è solo la soggezione di quello che ho letto, ma è proprio il luogo adatto ad un racconto che si perde nel tempo. Poi le strade pian piano digradano e si allargano, fino ad arrivare nel centro vero e proprio della città.
Pontremoli mi stupisce per la sua storia, quella di una cittadina costruita su un incrocio di strade, regioni e persone. Il dialetto parlato è molto diverso dal toscano vero e proprio, i piatti tipici sono qualcosa che non avevo mai assaggiato, come la golosissima “torta d’erbi”, fatta con un mix di erbe spontanee e formaggi, di cui le cuoche serbano gelosamente la ricetta; oppure i testaroli al pesto, il vero piatto tradizionale di questa zona.
I testaroli sono unici perché preparati usando i “testi”, dei fornetti portatili in ghisa, composti da una teglia inferiore e da una pesante cupola che chiude il cibo e lo cuoce, lentamente, sul fuoco. È proprio grazie a questa tecnica particolare che la pastella dei testaroli, fatta semplicemente di farina, acqua e sale marino, assume la consistenza e porosità adatta per assorbire tutto il condimento. E vi assicuro che sono deliziosi.
Passeggiare per le strade del centro è una continua sorpresa. L’asse stradale principale, su cui si affacciano i palazzi più importanti, non è altro che la Via Francigena, che attraversa la città da un capo all’altro. Qua passò l’Arcivescovo di Canterbury Sigerico mille anni fa, dando vita al percorso ancora seguito dai pellegrini che vanno verso Roma. Famiglie importanti come i Malaspina si stabilirono a Pontremoli per la sua rilevanza commerciale e la sua posizione strategica, alzando palazzi maestosi con interni stupefacenti.
E non avrei mai immaginato che questa città nascondesse anche tanti gioielli barocchi: centinaia di soffitti affrescati che possono essere ammirati nei palazzi, chiese o alcuni locali ricavati da stanze delle dimore storiche.
Lascio Pontremoli con la promessa di tornare in occasione dei falò di Sant’Antonio e San Geminiano a Gennaio, per scoprire anche le tradizioni più antiche di questa città e per ritrovare quella speciale atmosfera che solo una città di confine custodisce.